DRAMMA EPICO – CALCISTICO.
ATTO V
I genitori di Javier Montecristo aveva lasciato l’Italia nel 1965 in pieno regime consumistico perché suo padre era un diplomatico e come tale era stato destinato all’ambasciata italiana di Montevideo dove lui era nato.
Uno strano desiderio di visitare il luogo delle sue origini familiari prese albergo nell’animo del calciatore. Gli si era insinuato silenziosamente forse stimolato dalle vecchie foto in bianco e nero che mostravano la vecchia casa avita. Quando era cresciuto a aveva cominciato a giocare nella “Primavera” del Nacional si era innamorata dell’immortale Olanda del “calcio totale” che aveva perso le finali dei mondiali in Germania nel 1974 e in Argentina nel 1978. Ciò che lo affascinava era che in quella squadra tutti potevano giocare in difesa, centrocampo, attacco.
Si rese conto molto più tardi che per un simile gioco occorrono giocatori eclettici, versatili e, in una parola, dei campioni. In poche parole e senza intellettualizzare un gioco semplice come il calcio il cui obiettivo era semplicemente quello di buttare una palla in fondo a una rete, per praticare il “calcio totale” alla olandese occorrevano dei grandi giocatori. Punto.
Se hai dei campioni puoi giocare il “calcio totale”, il 4-3-3, il 4-4-2, con il baricentro del gioco alto o basso, con o senza regista o tre quartista, con gli esterni a tutta fascia o solo da metà campo in su, etc che avresti vinto sempre e comunque. Gli schemi, le tattiche e le strategie erano tutte cazzate: ci voleva genio e talento in campo; se c’erano questi ingredienti bastava un mister che commettesse meno errori possibili nel disporre la squadra in campo e il gioco era fatto.Con Neeskens, Krujff, Krol, i fratelli Van de Kerkhof, etc avresti potuto benissimo giocare con lo schema più rudimentale impostato su catenaccio e contropiede e avresti vinto lo stesso.Viceversa se hai a disposizione dei brocchi dal piede quadro che manco sanno stoppare la palla, che non saltano l’uomo e che crossano in tribuna nemmeno con un mago della panchina vinceresti nulla.
Ma torniamo a noi: la famiglia Montecristo era originaria dei zona dei Colli Euganei poi trasferita a Bornate, un paesino della Bassa Padana poi inglobato dalla grande metropoli nel corso degli anni Sessanta fino a diventarne un quartiere periferico. Jorge ci andò una domenica pomeriggio mentre nel sole della Florida i suoi compagni stavano giocando contro i Miami Crocodiles un amichevole che non contava nulla.Era incredibile come le vicende della sua vita lo avessero portato a giocare a Milano ossia a pochi chilometri dal luogo in cui molto decenni prima la sua famiglia si era trasferita. Bornate consisteva in una viuzza lunga e stretta fiancheggiata da vecchie cascine lombarde graziosamente restaurate. La viuzza poi a un certo punto di biforcava: da una parte si trasformava in un vialone diretto verso il “Quartiere Marcantonio” il cui skyline tipico era costituito da palazzoni osceni dai 12 ai 15 piani secondo il modello edilizio in voga in Unione Sovietica; dall’altra parte invece la viuzza si restringeva ulteriormente, proseguiva forse per un chilometro prima di perdersi nelle profondità della Pianura Padana in aperta campagna in direzione del pavese.
Accanto alla biforcazione Montecristo riconobbe la chiesetta di San Marziale la cui foto sua madre teneva sempre in bella vista su una mensola della cucina nella loro bella casa di Montevideo.In quella chiesa sua madre era andata tutte le domeniche a messa per anni e lui, Jorge, a forza di vedersela occhieggiare dalla mensola aveva finito per affezionarcisi. Aveva visto su internet che la chiesetta di san Marziale era caduta in disuso da anni come molte chiese antiche di Milano.Alcune erano state trasformate in abitazioni, sedi aziendali e perfino istituti bancari, altre ancora erano state semplicemente abbandonate nell’incuria e destinate a essere sommerse dalla vegetazione che ne aggrediva i muri e dall’umidità che ne corrodeva la struttura. Altre ancora erano state trasformate in moschee col beneplacito della Curia. Un numero ridotto invece come san Marziale erano state lasciate in una sorta di limbo nel senso che pur essendo sostanzialmente state declassate come luoghi di culto venivano tuttavia aperte occasionalmente a Pasqua o il giorno di san Marziale patrono di Bornate. Insomma la chiesetta che una volta era gremita di gente come lo stadio il giorno del derby fra Ambrosiana e Monza ora si era ridotto in uno stato di semi abbandono più o meno come un vecchio calciatore abbondantemente over 30 che il club decide di tenere in rosa senza farlo mai giocare più per riconoscenza di quanto fatto in passato che per effettiva utilità in campo. Insomma una vecchia bandiera cui si regalano gli ultimi sprazzi di gloria prima di essere definitivamente ammainata. Alla luce di questi pensieri confusi in qualche modo Javier Montecristo si sentì fraterno a san Marziale
Montecristo sapeva tutto questo, ma sperava che la chiesetta fosse comunque visitabile durante i pochi giorni di apertura annuale o a richiesta. Parcheggiò sul vialone sovietico e si avviò a piedi sotto un cielo plumbeo e piovoso verso la chiesetta. Quando se la trovò di fronte fu come se avesse davanti un vecchio campione in disarmo di cui nessuno si ricordava più: la piccola e sobria facciata sovrastata da un timpano presentava un portone ligneo consunto e screpolato su cui campeggiava un foglio appeso e protetto da un busta di plastica in cui in una ventina di righe si riassumeva la storia della chiesetta:
la costruzione originale è del 18… dedicata a san Marziale il quale nel 14… aveva salvato il paese dal tifo petecchiale impetrando un miracolo divino…Parzialmente restaurata nel 19… al suo interno presentava alcune opere d’arte come l’altare marmoreo con il fronte bianco intarsiato a motivi vegetali e il quadro detto “del Crocifisso” che ingombrava una nicchia a lato dello stesso opera di Balduccio de’ Balducci Pisano del 15…
etc.
A parte il fatto che l’inchiostro delle scritte era colato a causa delle intemperie, Montecristo fu impressionato dal termine “ingombrato” riferito al quadro nella nicchia come se si fosse trattato di una vecchia cianfrusaglia che dava fastidio occupando dello spazio che si poteva impiegare più utilmente e dall’ “etc.” finale a troncare un discorso che non necessitava di troppe parole dal momento che non interessava più nessuno. Infine sul minuscolo sagrato un panettone di pietra che doveva essere servito a impedire che le auto parcheggiassero davanti al portale era stato divelto e gettato sui sanpietrini dove giaceva malinconicamente di lato come una decrepita scarpa da calcio dimenticata in fondo allo spogliatoio in disfacimento di un vecchio stadio abbandonato.
Nessuna notizia circa la possibile apertura della chiesetta in occasione di ricorrenze speciali. Montecristo decise allora di rivolgersi alla vicina Parrocchia dei Santi Martiri dell’Inclusione per Un Mondo Migliore sitapoco distante nel cuore del “Quartiere Marcantonio”.
La Parrocchia si trovava in una via laterale rispetto al vialone sovietico presso uno slargo sulla destra. L’ingresso della chiesa ricordava a Javier qualcosa di simile a un percorso termale col viottolo ghiaioso fiancheggiato da bassi arbusti bene ordinati che evocava l’idea di un giardinetto zen. Superato l’ingresso l’interno aveva qualcosa di morbido e tranquillizzante come ci si fosse trovati in una sauna ben attrezzata.
Così morbido e tranquillizzante da essere angosciante.
(segue)

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Categorie:L'uomo in meno
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