Questa biografia di Jimi Hendrix già dal titolo La stanza degli specchi contiene quella che sembra essere la caratteristica principale che ha contrassegnato la vita di quello che secondo molti è stato il chitarrista più innovativo della storia della musica rock: una vita in cui l’immagine di se stessi si rifrange in una serie infinita di rappresentazioni ciascuna delle quali coglie solo un aspetto della realtà senza esaurirla mai completamente.
La biografia di Charles Cross sembra dimostrare due cose. In primo luogo come ogni obiettivo o quasi sia raggiungibile se si dispone di una volontà assolutamente focalizzata sull’obiettivo: il talento non basta, occorre anche una grande capacità di concentrazione, una determinazione incrollabile e la coesione di tutte le facoltà intellettuali e fisiche al fine di diventare ciò che si desidera. In secondo luogo dimostra come la cosiddetta industria culturale sia in grado di creare un’icona epocale a patto di avere a disposizione un uomo con tre caratteristiche principali: abbia del talento, sia fragile psicologicamente e sia affetto da una buona dose di narcisismo.
Il fenomeno Hendrix è stata una stella che ha brillato nel cielo della cultura popolare di massa per soli quattri anni (dal 1966 al 1970) quando il giovane afroamericano con ascendenze native Cherokee, che allora suonava in squinternate band locali, venne ascoltato dalla bella e ricca Linda Keith fidanzata dal Rolling Stones Keith Richards in un locale newyorkese e presentato quale nascente astro della musica rock a Chas Chandler allora promoter musicale e membro della band degli Animals.
Ma al di la della biografia meramente descrittiva della vita di Hendrix satura di incontri, impegni, viaggi e della galleria infinita di personaggi incontrati durante la sua breve carriera artistica (da Jim Morrison dei Doors a Miles Davis a Eric Clapton e tantissimi altri) la storia di Jimi si può leggere anche come la storia di una trasformazione umana e morale e di come il successo se non se non gestito correttamente diventa qualcosa di mostruoso, una specie di persecuzione da cui è impossibile liberarsi senza raschiare brandelli di umanità dalla propria anima. Solo il cinismo o l’arte possono salvare un uomo nato povero in una famiglia disastrata: nel caso di Hendrix deve essere stato un processo dolorissimo subire una metamorfosi che ha trasformato la sua indole di sognatore fragile ereditata dalla madre in un prodotto di consumo di massa per certi versi volgare, eccessivo e infine non più gestibile nemmeno per se stesso.
Il processo di mercificazione di Hendrix comincia con lo sbarco a Londra nel 1966, cioè l’arrivo nella città più cosmopolita del mondo nel momento di massima traformazione sociale e culturale specialmente da parte dei giovani: addobbato quasi subito tramite un abile packaging in un prodotto mediatico col ricorso al classico espediente del giovane uomo bello e dannato fondato sul mix di sesso, droga e musica rock, la biografia di Hendrix ha l’enorme merito di porre in chiara luce qianto fosse abissale la distanza che separava l’uomo dalla sua rappresentazione pubblica e di come questa distanza fra dimensione pubblica e privata sia stata colmata: Hendrix è diventato in pratica prima ciò che voleva, cioè un chitarrista di successo, poi una specie di vessillo di un’ epoca in cui l’aspetto musicale è quasi passato in secondo piano per privilegiare la sua dimensione iconica funzionale al clima culturale in voga alla fine degli anni Sessanta.
Così l’ex militare Hendrix favorevole alla guerra del Vietnam, ostile alle manifestazioni pacifiste, visceralmente anticomunista, diffidente se non apertamente contrario verso i movimenti contestatari a connotazione etnica come le Pantere Nere e fiero del suo passato nell’esercito per quanto per lui sia stata un’esperienza traumatica viene trasformato dai promoters che ne gestiscono la carriera e dunque l’immagine pubblica in un pacifista che suona a Woodstock l’inno americano distorcendolo, in un guru della cultura hippy, in un paladino del libero amore e dell’amore libero. Ma non si tratta di una trasformazione di facciata solo a uso e consumo delle masse: la metamorfosi che fa di Hendrix una bandiera culturale pacifista, liberoamorista e orientaleggiante riesce almeno in parte realmente. Voleva diventare chitarrista professionista, si ritrova iconizzato suo malgrado e imprigionato in un personaggio legato alla moda del momento, costretto ad assumere pose e atteggiamenti che per sua natura non gli appartenevano.
Interessanti le parti della biografia di Charles Cross che evidenziano i riferimenti culturali di Hendrix prima e dopo il successo: la sua grande passione per la narrativa di fantascienza si trasforma in un impasto eteregeneo che finisce per diventare la sua nuova religione. La nuova religione di cui diviene uno dei massimi rappresentati è un mix di Induismo orientale, psichedelia, ufologia, cristianesimo pacifista. Accanto alla Bibbia che legge attentamente compaiono testi inusuali come Il Libro di Urantia e il Nascondiglio del Leone vale a dire i testi sacri della nuova religione ufologica che comincia ad affermarsi negli Stati Uniti degli anni Sessanta. Da questi riferimenti culturali nasce la seconda parte della carrierea di Hendrix se vogliamo meno rockettara e più “cosmica” in cui il suo sound si ingentilisce, si fa più etereo a richiamare suggestioni spaziali perfettamente conformi alla nuova era dell’Acquario che segna il discrimine e il punto di svolta fra tradizione e modernità.
Nasce allora una nuova suggestione relatva alla figura di Jimi Hendrix: quella di un uomo nato a cavallo fra due epoche, due mentalità, due climi culturali fra la tradizione patriottica americana con tutti i suoi valori abituali e la nuova America sgargiante e colorata, un po’ vegana, un po’ mistica, un po’ ecologista. Si è indotti a pensare leggendo la biografia di Jimi che a lui di questa metamorfosi in realtà non fregasse nulla, che si lasciasse trasportare dalla corrente perchè non aveva nè la voglia, nè la forza di mettersi di traverso. Per lui prima di tutto veniva la musica o meglio la ricerca musicale e in vista di questo obiettivo qualsiasi riferimento culturale, ideologico o politico che gli permettesse di coltivare la sua infaticabile esplorazione artistica poteva e anzi doveva essere cavalcato. Nella biografia risulta che Hendrix a un certo punto, come era banalmente inevitabile, diviene un sex symbol ambitissimo dalle giovani donne che lo circondano, ma questo era anche esattamente quello che gli richiedeva il carrozzone promozionale che ne divulgava l’immagine a fini di marketing commerciale. Bisognava costruire un personaggio di un certo tipo e dunque l’immagine di un Hendrix sessualmente attivissimo era funzionale al successo commerciale dei suoi dischi perchè alla fine chi comprava i suoi vinili non comprava più della musica, ma un personaggio artefatto che attirava l’attenzione più grazie alla sua immagine artefatta di guru di una nuova epoca che non per via della sue qualità artistiche.
Ma a un certo punto Hendrix si accorge della mediatizzazione che è stata fatta della sua immagine e non ci sta: gli da fastidio che una delle sue più celebri canzoni, Purple Haze, sia considerata un inno al consumo di lsd mentre in realtà nelle sue intenzioni si riferiva al tema di un romanzo di fantascienza a connotazioni religiose che ha letto (Notte di Luce di Philip Farmer), non gli piace la copertina del secondo album (Axis: bold of love) psichedelica e orientaleggiante che lo rappresenta come un santone in cui non si riconosce e non gli piace nemmeno che a ogni intervista tentino da indurlo a fare dichiarazioni di solidarietà verso alcuni movimenti come le Pantere Nere di cui non apprezzava i metodi. In definitiva tenta di sganciarsi dal carrozzone di promoters, organizzatori, curatori di immagine che lo circondano, ma si dovrà accorgere sulla sua pelle che lo show business di cui lui era l’attrazione non era disposto a mollare l’osso così facilmente. Tenta allora di darsi una ripulita esistenziale e musicale verso la fine della sua vicenda terrena cambiando nettamente orientamento artistico: lascia il rock psichedelico dei primi album e decide di dare una svolta jazz al suo sound sciogliendo la Jimi Hendrix Experience cioè la sua storica band che gli ha procurato fama e denaro per fondarne un’altra musicalmente più adatta a interpretare la svolta jazzistica. Insomma cerca di svoltare verso un profilo meno commerciale e più raffinato, colto e artistcamente evoluto. Anche i suoi atteggiamenti sul palco si moderano: sembra non impugnare più il manico della chitarra imitando gesti onanistici, non fa più a pezzi lo strumento musicale scaraventandolo a terra, non si presenta più al pubblico alterato a causa di abusi alcolici o sintetici. Insomma tenta di sfuggire di mano ai suoi ammaestratori che ne hanno rigidamente programmato la carriera e l’immagine pubblica. Solo grazie alla sua ostinazione come sempre assolutamente focalizzata verso lo scopo da raggiungere e alla consapevolezza che la sua salute sta rapidamente peggiorando a causa di vizi, eccessi e abusi il tentativo di Hendrix di emanciparsi dal meccanismo tritacarne del successo e dagli yesman che lo governano avrà esito positivo.
Che Hendrix fosse comunque un uomo che per coltivare la sua unica grande passione cioè la musica fosse disposto a eliminare dalla propria vita eventuali ostacoli si evince anche dai suoi rapporti familiari: aveva cinque tra fratelli e sorelle di cui uno detenuto e due con disabilità fisiche di cui una, la sorella Kathy, sottratta ancora infante alla famiglia e affidata a un istituto per non vedenti dove si presume sia stata ospitata per gran parte della sua vita o il fratello Joe affetto da difficoltà di movimento e quasi subito assegnato a una famiglia affidataria che se ne potesse prendere cura. Come occorre sottolineare la fondamentale differenza fra l’ostentazione del personaggio pubblico e la dimensione privata, occorre anche sfuggire alla tentazione opposta di fare di Jimi un uomo meno ripiegato su se stesso di quanto non fosse. Il libro di Charles Cross ha il merito di non fare della biografia di Hendrix una agiografia: emergono alcuni dati impressionanti riguardo la sua personalità di Jimi: ad esempio ci si potrebbe attendere che una volta diventato ricco e famoso abbia fatto qualcosa a favore dei suoi fratelli in difficoltà alcuni dei quali non vedeva da anni, anzi da quando era bambino. Tuttavia non risulta nè che abbia cercato di fornire loro aiuto materiale, nè che abbia tentato di riallacciare dei rapporti umani, nè che si sia in qualche modo preoccupato della loro condizione.
La musica prima di tutto e oltre tutto, appunto. Eppure sappiamo anche dalla sua biografia che nonostante le sue egoiche e plateali apparizioni pubbliche era un uomo che aveva ereditato dalla madre Lucille una insospettabile gentilezza d’animo e forse, se fosse vissuto più a lungo, avrebbe fatto per gli altri, compreso due figli avuti da due donne presto dimenticate, qualcosa di più rispetto a quanto abbia potuto o voluto fare.
Categorie:bio - autobiografie
Rispondi