molta sapienza, molto affanno;
chi accresce il sapere, aumenta il dolore.Qohelet 1-17, 18.
ASPETTI FILOSOFICI.
Lo psichiatra americano Daniel Keyes nel suo romanzo “Fiori per Algernon” (1966) ci mostra che cosa significa vedere. Non guardare, osservare e tantomeno analizzare, studiare o informarsi circa la realtà, ma vedere il mondo e i suoi fenomeni così come sono e non come si vorrebbe che fossero. Del resto il brano tratto da La Repubblica di Platone posto come un epigrafe a inizio libro ci informa quale sia la prospettiva di Keyes nel considerare la disabilità: così come nel mito platonico della caverna si immagina un uomo richiuso in una spelonca in grado di vedere solo le ombre frutto delle pallide proiezioni della realtà esterna illuminata dalla luce solare che mostra la realtà delle cose in tutta chiarezza, allo stesso modo il deficit mentale impedisce a una persona di percepire la realtà in modo oggettivo costringendolo, in un certo senso, a immaginare una realtà soggettiva dai tratti marcatamente infantili ossia una sorta di imitazione di quel reale che resta ignoto. Tuttavia, suggerisce l’autore, quella realtà immaginaria é spesso assai più gratificante e moralmente accettabile della realtà oggettiva stessa. In definitiva il libro allude alla possibilità che la serenità psicologica dipenda molto meno da una fedele rappresentazione del mondo che non da una sua alterazione funzionale al ben-essere psicologico.
Dal punto di vista filosofico dunque lo splendido romanzo di Keyes verte sul tema della differenza fondamentale che intercorre fra conoscenza e sapienza o meglio fra un tipo di intelligenza che conosce perché informata e un’intelligenza che sa perché esperisce. In questa prospettiva le tenebre della caverna platonica possono divenire luce e la luce di chi vive all’esterno tenebra. In altre parole: uno stato di intelligenza eccezionale nel duplice senso sia di deficit che di genialità permette di sapere laddove la maggioranza delle persone, normalmente dotata di una intelligenza razionale media, conoscono. Dunque per Keyes i due estremi dell’intelligenza tipici del disabile e del genio finiscono per convergere grazie alla comune capacità di cogliere l’essenza unitaria della realtà fisica e spirituale dell’uomo meglio di quanto potrebbe fare l’ uomo medio che della realtà coglie solo aspetti parziali o frammentari. Del resto i settori più olistici della psicologia moderna concordano con le tradizioni religiose nell’affermare che le tenebre in taluni casi corrispondono alla luce della sapienza mentre la luce dell’intelligenza razionale corrisponde spesso a un cumulo di informazioni che la realtà si limitano a descriverla in modo nozionistico senza una vera comprensione.
Del resto basta leggere alcune opere della mistica cristiana come la “Dotta ignoranza” di Niccolò Cusano o “La nube della non conoscenza” di Anonimo o i principi dottrinari del buddhismo theravada per rendersene conto: in queste opere la sapienza che penetra la realtà e coglie la verità è spesso rappresentata in termini che evocano l’idea di oscurità, nube impenetrabile, vuoto assoluto. Qui si esprime forse la provocazione più audace di Keyes: ma siamo così sicuri, a prescindere dai nostri pregiudizi, che l’intelligenza razionale e la conoscenza scientifica tipica della nostra epoca garantiscano una corretta comprensione del mondo o non piuttosto una sua ricostruzione parziale?
No, non ne siamo sicuri. Anzi, sembra rispondere l’autore, forse una visione del mondo più ingenua e umilmente semplice è la chiave per raggiungere quello stato di sapienza superiore prefigurato e auspicato dalle religioni e dalla psicologia meno ideologizzata.
LA RINASCITA DI CHARLIE GORDON.
A livello narrativo Keyes illustra questa sua posizione filosofica nel corso del romanzo ricorrendo a un espediente letterario efficacissimo derivato direttamente dalla sua esperienza professionale di psichiatra. Keyes cioè immagina cosa può succedere a un uomo che soffre di un grave deficit mentale con un quoziente intellettivo pari a 78 se, tramite un’operazione di micro chirurgia e di cure ormonali, incrementa tale livello fino a oltre 150 ossia nell’ambito della genialità. La risposta ovvia è che un transito così repentino da disabile mentale e genio comporta un drammatico ed evidentissimo cambiamento nel modo di percepire la realtà. Significa anche transitare da una percezione del mondo infantile a uno in cui, grazie a una intelligenza superlativa, anche i segreti più misteriosi della natura sono svelati. Da qui il titolo de I due mondi di Charlie del film tratto dal romanzo che valse l’oscar all’ attore protagonista Cliff Robertson.
Il romanzo narra le vicende di Charlie Gordon, un giovane adulto affetto da deficit intellettivo il quale, emarginato e sospinto ai margini della società, matura una percezione del mondo caratterizzata dai colori, i toni e anche le illusioni tipiche dei bambini. Egli vede la realtà tramite il filtro del suo handicap: i suoi colleghi di lavoro li percepisce come degli amici che lo amano mentre il realtà lo deridono crudelmente, la sua educatrice Miss Kinnian che tenta di insegnargli a leggere e scrivere é percepita come una figura quasi materna, i dottori che si occupano di lui sono percepiti come degli uomini che lo vogliono guarire per premiarlo della sua buona indole e non come dei professionisti che conducono test ed esperimenti in nome della scienza.
Ma dopo un’operazione di micro chirurgia mai tentata prima su un essere umano, ma solo sul topolino Algernon, Charlie Gordon acquista progressivamente una intelligenza geniale, superiore perfino a quella degli stessi precettori e scienziati che se ne occupano: mediante il diario in cui Charlie annota scrupolosamente i cambiamenti che lo stanno trasformando in un genio, il lettore segue lo sviluppo intellettivo di un uomo ed insieme ad esso anche la sua capacità di vedere finalmente la realtà oggettiva, chiara e lucida come un diamante cristallino. Per Charlie è l’inizio di una epifania rivelativa che gli mostra quanto siano meschini i suoi colleghi di lavoro che credeva amici, quanto siano interessati alla loro gloria personale gli scienziati che hanno provocato la sua metamorfosi, quanto gli psicologi che ne seguono lo sviluppo siano perfino gelosi delle sue superiori capacità.
IL GENIO INCOMPRESO
Si innesta a questo punto del racconto il tema del “genio incompreso” peraltro non del tutto sconosciuto nella letteratura americana (già affrontato ne L’uomo che cadde sulla Terra di Walter Tevis che sarà prossimamente recensito su questo sito). Anche in questo caso Keyes stabilisce un’analogia fra disabilità mentale e genialità: entrambe le condizioni infatti oltre a implicare una visione del mondo sapienziale oltre la conoscenza razionale, hanno in comune anche l’isolamento sociale che affliggono chi ne è portatore. Il cambiamento caratteriale derivato da una diversa percezione della realtà di Charlie nel momento in cui diventa il superuomo Charles è uno degli aspetti meglio riusciti del romanzo; assistiamo quindi alla metamorfosi di un uomo che da ingenuo e fiduciosamente aperto verso il mondo diventa freddo, scostante, supponente perchè, finalmente levato il filtro dell’ingenuo infantilismo, gli è possibile vedere la realtà umana per quella che è nella sua nuda e cruda ostilità. Charles ne rimane inorridito tanto da maturare una visione del mondo e dell’uomo intensamente pessimistica.
Da questa rinascita Charles tuttavia si crede finalmente rigenerato come uomo intero, compiuto, pienamente integrato. Si tratta però di un’illusione: quando comincia a vedere senza filtri non solo la realtà oggettiva ma anche la sua personalissima realtà intima Charles si accorge che alla sua impressionante crescita intellettuale corrisponde una tarda e molto più lenta crescita emotiva: è rinato come uomo nuovo, è vero, ma il vecchio Charlie ante operazione, il suo precedente se stesso non lo ha abbandonato, è sempre presente, lo scruta nel suo itinerario di riscoperta del mondo ricordandogli continuamente che egli infine è solo un prodotto artefatto, un esperimento scientifico apparentemente di successo, un genio da laboratorio che non può emanciparsi dal suo vero io, da ciò che è costitutivamente e dai retaggi del suo passato. Solo ricostruendo il suo passato da disabile il genio Charles potrà riconciliarsi con le sue origini, con le sue sofferenze e quindi con se stesso.
Nel frattempo Charles raggiunge un quoziente intellettivo tale da poter collaborare con gli scienziati che lo hanno operato diventando un esperto di chimica del cervello fra enzimi, aminoacidi e corteccia cerebrale. In virtù di queste conoscenze altamente specialistiche riesce tuttavia a scoprire una verità sconvolgente: attraverso un’intuizione verificata da successivi calcoli capisce che la sua guarigione è solo temporanea e che è destinato a tornare alla precedente condizione di disabile. Il regresso intellettivo e poi la morte del topolino Algernon che aveva subito lo stesso trattamento chirurgico per verificare eventuali effetti collaterali prima di Charles, conferma in pieno l’ipotesi regressiva. A questo punto Charles decide di sfruttare il poco tempo rimasto a disposizione prima di regredire per ricostruire il proprio passato a cominciare dal rapporto con i genitori e la sorella che non vede da molto tempo.
FUORI DAL LABIRINTO
Le pagine dedicate alla ricerca dei genitori e della sorella minore che lo avevano affidato a uno zio e abbandonato a se stesso quando era ancora adolescente sono tra le più intensamente drammatiche e commoventi del libro. Riallacciando i rapporti con i familiari che non vede più da decenni Charles scopre, per così dire, il pezzo che gli mancava, il tassello senza il quale non può concludere il suo percorso di evoluzione emotiva: deve imparare a perdonare i familiari, specialmente la madre, che lo ha scartato come un giocattolo rotto nel momento in cui è nata la sorellina normodotata – significativamente chiamata “Norma” nel romanzo – Infatti se prima della nascita di Norma la testardaggine della madre Rose non voleva rassegnarsi ad avere un figlio disabile tanto da pretendere da Charlie prove impossibili da superare per auto convincersi della sua “normalità”, dopo la nascita della sorellina che evidentemente riempie una lacuna nella vita della famiglia e in qualche modo riscatta Rose dalla sua frustrazione di madre che si sente colpevole di aver generato un figlio che non può soddisfare le sue ambizioni, Charlie viene immediatamente allontanato perché si teme possa essere a causa del suo handicap e dei comportamenti che ne derivano, un ostacolo all’educazione di Norma. Il pretesto cui Rose era ricorsa per giustificare la sua decisione di allontanare Charlie dalla famiglia venticinque anni prima riguarda il sospetto che egli avesse maturato delle pulsioni sessuali verso la sorella. Sospetto infondato come la stessa Norma rivelerà in un drammatico colloquio con Charles. E’ a questo punto che si verifica una drammatica inversione dei ruoli fra Rose e Charles: quest’ultimo si accorge che la madre soffre di demenza senile e non è più in grado di scindere il vecchio Charlie con la sua disabilità di cui ella si è sempre vergognata, da Charles nella sua nuova condizione di genio. Un sentimento di compassione per la madre redime Charles che riesce così a fare l’esperienza del perdono che si rivela fondamentale per il suo pieno recupero emotivo. Da questo momento egli sembra diventare un uomo migliore non solo dal punto di vista intellettivo, ma anche emotivo e morale.
Ricostituito ormai anche nella sua parte subconscia Charles tramite un’altra intuizione e la scoperta dell’amore per la sua ex istitutrice miss Kinnian compie un esperienza trascendente raggiungendo un livello di consapevolezza tale da sfiorare una sorta di fusione col divino durante una seduta terapeutica.
Verso l’alto muovendomi come una foglia in una corrente ascendente d’aria calda. Dilatandomi, gli atomi del mio corpo si scaraventano lontani gli uni dagli altri. Divento più leggero, meno denso e più grande, più vasto… sempre più vasto… esplodendo all’esterno nel sole. Sono un universo in espansione che sta nuotando all’insù in un mare silenzioso. Dapprima piccolo, sto ora includendo nel mio corpo la stanza, il palazzo, la città, il paese, finché so che, guardando in basso, vedrò la mia ombra cancellare il mondo. Leggero e senza sensazioni. Andando alla deriva ed espandendomi nel tempo e nello spazio. E poi, mentre so che sto per perforare la crosta dell’esistenza, come un pesce volante che balza fuori del mare, mi sento tirare dal basso. (p. 282).
E’ l’apice del suo compimento, il traguardo che ne sancisce la piena maturazione psicologica e finalmente l’uscita dal labirinto della sua psiche. Quel labirinto che a lungo era stato utilizzato sul topo Algernon e su di lui per testare i progressi intellettivi prima e dopo l’operazione che lo ha trasformato assume allora il valore simbolico di un percorso tortuoso e irto di difficoltà, ma finalmente compiuto. Raggiunta questa piena maturazione interiore Charles Gordon è pronto a ripercorrere a ritroso il percorso compiuto e regredire verso lo stato di disabilità mentale da cui era partito e, infine, farsi ricoverare in una clinica specializzata. Ma non prima di aver raccomandato agli scienziati che gli hanno permesso sia pure per un breve periodo di vedere di portare dei fiori sulla piccola tomba di Algernon sepolto nel giardino di casa.
L’ONNIPOTENZA DELLA SCIENZA
La scienza, sembra concludere Keyes, a livello etico non può permettersi di sperimentare qualsiasi cosa solo perchè è possibile: in ambito scientifico come in ambito etico il fine non giustifica i mezzi e nemmeno è concepibile sacrificare pochi esseri umani per salvarne molti. La stessa figura dello scienziato nel romanzo risulta lontana dall’essere quella sorta di demiurgo in grado di guarire l’umanità dalle sue infermità perchè a qualsiasi livello intellettuale dal più basso al supremo la natura umana resta identica ossia governata dall’egoismo, da un’ambizione sfrenata e dalla fame di gloria anche a costo di intraprendere percorsi che finché non siano assolutamente verificati alla luce di un’etica superiore è bene siano rimandati ad altri tempi. Uno degli aspetti più inquietanti del romanzo è proprio questo: gli esperti di micro chirurgia che hanno operato Charlie non erano certi della permanenza dei risultati, ma anzi avevano contemplato l’ipotesi che il cambiamento verso la genialità fosse solo provvisorio e che quindi Charlie potesse riprecipitare nelle tenebre dopo esservi uscito. Ma questo rischio è stato posposto in nome del cinismo scientifico e della brama di fama: l’immagine della caverna platonica come quella del labirinto assumono allora valore metaforico: l’esperimento scientifico condotto su di lui è fallito e Charlie dopo essere simbolicamente uscito tanto dall’una quanto dall’altro è costretti a rientrarvi.
Categorie:Daniel Keyes
Un libro strepitoso che mi ha fatto tanto riflettere e per questo è stato tanto regalato da me (altro libro che regalo è Una banda di idioti e Vacanze pazze che sembrano semplici ma invece non lo sono). Ottima riflessione, come sempre del resto! Bentornato tra le mie letture preferite
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Grazie e felice di rileggerti. Si, ha fatto riflettere molto anche me soprattutto sul fatto che ciascuno di noi ha il suo personale labirinto – ossia infermità – da cui uscire fatto di vicoli ciechi, svolte misteriose, schemi consolidati difficili da cambiare. A volte capitano inspiegabilmente degli attimi di massimi lucidità in cui si intravede l’uscita, ma quasi sempre poi si ricade nelle vecchie abitudini. Mi ha fatto venire voglia di rileggere La Repubblica di Platone che sottotraccia ha ispirato Keyes. Mi hai incuriosito, penso che inserirò “Una banda di idioti” fra le mie prossime letture.
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