“Un uomo da marciapiede” prima ancora di essere un gran bel film con dei magistrali Dustin Hoffmann e Jon Voight è, a modo suo, un romanzo profetico.
Scritto dal quasi sconosciuto scrittore americano dal cognome impronunciabile James Leo Herlihy “Un uomo da marciapiede” non è un capolavoro della letteratura contemporanea solo perché avvince il lettore fin dalle prime pagine con una prosa scorrevole e intrigante, ma soprattutto perché ci informa di due cose: che il cosiddetto “sogno americano” – secondo cui si può ottenere il successo a partire da umili condizioni – per i più è una chimera irraggiungibile; e poi perché ci rappresenta come sarà il giovane del futuro con largo anticipo.
Il romanzo assomiglia dunque a una profezia. Non perché abbia saputo preconizzare un evento futuro, ma perché ha scolpito in modo molto preciso un tipo umano che negli stati Uniti degli anni Sessanta era già piuttosto abituale, ma che pochi avrebbero immaginato sarebbe diventato il prototipo umano più reclamizzato dell’occidente contemporaneo specialmente in Europa tanto da essere additato quale modello da imitare.
Il tipo umano rappresentato nel romanzo cessa in un certo senso di costituire un eccezione e dunque un personaggio a suo modo affascinante come tutti gli outsider, per diventare un modello di uomo quasi banale, che anziché ispirare un senso di simpatia in virtù del suo amore per la libertà appare opaco, insignificante, anonimo.
Quello che il romanzo delinea nel lontano 1966 è la figura letteraria tipicamente americana del tramp che si potrebbe tradurre in italiano con “barbone” o senza fissa dimora. La figura del vagabondo letterario del resto trova qualche analogia anche in altri grandi romanzi europei come Ragazzi di vita di Pierpaolo Pasolini o L’idiota di Fiodor Dostojevskji.
Il tramp americano è generalmente un personaggio che ama vagabondare senza mete né fisiche, né esistenziali e che sembra voler fuggire da qualcosa più che voler andare verso qualcos’altro. E’ un personaggio ingenuo, animato da buoni sentimenti, spesso incapace di sgomitare nell’arena spietata del capitalismo terminale.
E’ quello che con un termine classista tipico di certa borghesia liberale possiamo definire come “perdente” di contro ai “vincenti” sempre così certi degli scopi che intendono raggiungere e dei mezzi necessari per conseguirli.
Ora il tipo umano del tramp americano così empatico, così simpaticamente ingenuo, così incapace di competere e per certi versi così romantico e commovente ha subito una trasformazione, anzi, come direbbe Pasolini una “mutazione antropologica” che lo ha reso in qualche modo antipatico, infido, detestabile.
Il tramp che ama vagabondare solitario tipico degli anni Sessanta ha subito quindi una metamorfosi. Infatti si è trasformato prima nei Settanta nel tipo umano dello hippy fintamente tollerante, ma in realtà più intransigente di un caporale prussiano come tutti gli utopisti; poi nello sradicato dell’occidente moderno.
In questo percorso da tramp a hippy a sradicato resta inalterata la mancanza di mete precise cui tendere, un passato insoddisfacente e il disagio esistenziale. Si differenziano però per un aspetto psicologico che riguarda non la realtà in se, ma il modo di percepirla e quindi di viverla: mentre il tramp originario vive il suo status esistenziale con l’innocenza tipica di chi si aspetta il meglio dalla vita fino all’ingenuità e alle cocenti delusioni che seguono le grandi illusioni, lo sradicato moderno agisce col torvo, contorto, egoistico livore caratteristico di chi non ha più né illusioni, né speranze.
Nel romanzo Herlihy sembra prefigurare l’involuzione che subirà Joe Buck cioè il tramp protagonista del suo racconto e per esteso tutti i giovani come lui quando descrive un manipolo di giovinastri spaventosamente simili agli sradicati odierni osservabili in tutta Europa per cui essere liberi significa soprattutto sottrarsi a qualsiasi progetto di compiutezza:
Due giovani vestiti di nero gli attraversarono la mente, snelli, biondi, chiari come il giorno: i Mac Albertson. E per un breve istante Joe guardò nella propria mente i due ragazzi e ne penetrò il mistero. Li vide crescere e diventare adulti, li vide camminare, mano nella mano, verso un fondale fatto di nulla, insieme eppure scissi, senza padre né madre, senza un sesso ben definito, senza un legame con il mondo o con le loro stesse persone, con nulla e nessun luogo, li vide vagare in cerca di altri che percorressero le stesse, deserte regioni, altri che fossero venuti al mondo come loro slegati ed estranei e scissi, e in quel breve istante di lucidità Joe Buck ebbe la sensazione di sapere chi erano i due ragazzi: figli suoi, nati, già adulti, dalla sua unione di quella notte.[1]
Figli suoi nati già adulti: cioè Joe Buck il tramp vede nei due ragazzi quale sarà l’evoluzione, anzi l’involuzione, del tipo umano che rappresenta nella generazione successiva alla sua.
Si precisa meglio allora la differenza che rende così diverso lo sradicato di ieri da quello di oggi: mentre il primo tenta di liberarsi dai vincoli sia materiali che psicologici che gli impediscono di uscire dalla paralisi verso un nuovo progetto di se stesso caratterizzato, sia pure ingenuamente, dal successo e dalla promozione sociale anche a costo di rischiare il fallimento, il secondo non solo è privo di progettualità positiva, ma anzi tende alla nullificazione di se stesso incoraggiato in questo anche dall’ideale nichilista promosso dal rumore sociale odierno.
[1] James Leo Herlihy, Un uomo da marciapiede, ed. BUR Rizzoli, pag. 185.
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