Breve, epigrammatico e misterioso il titolo dell’ultimo romanzo scritto da Jack Kerouac: Pic.
Il romanzo fa parte di quella non troppo nutrita schiera di libri che hanno per protagonista un bambino o un adolescente: lo sguardo ingenuo di un bimbo che ha la capacità di stupirsi di tutto, come lo vedesse per la prima volta, come se tutto fosse un gioco prima che l’abitudine trasformi ogni cosa in noiosa banalità: un bambino guarda la corsa di un treno come fosse una giostra su cui salire, allarga le braccia come fossero ali durante una giornata di vento al mare quasi a voler spiccare il volo oppure osserva rapito l’insegna luminosa di un negozio come vedesse una magia. I miei cinque libri preferiti il cui protagonista è un bambino o un adolescente sono i seguenti:
1. al primo posto il bellissimo e commovente Il Grande Amico (anche col titolo de Il Grande Meaulnes) di Alain Fournier autore prematuramente scomparso appena ventisettenne durante la Prima Guerra Mondiale dove fu ufficiale dell’esercito francese. Lo sguardo incantato di un gruppo di bambini capeggiati da un piccolo leader poco più grande di loro in un’ avventura magica. Il finale, diciamolo subito, è amarognolo. La vita quando toglie l’innocenza compie il più ingiusto dei misfatti. Grande rimpianto per questo scrittore oggi quasi dimenticato: dal suo talento precoce potevano nascere altri capolavori.
2. L’uccello dipinto di Jerzy Kosinsky. Una storia di emarginazione di un ragazzo costretto suo malgrado a vagare per una serie di esperienze quasi tutte caratterizzate dal rifiuto. Il titolo allude al fatto che per divertirsi in passato i ragazzi in alcune realtà geografiche e sociali dipingevano un uccello per fare in modo fosse percepito come estraneo e quindi beccato e cacciato dai volatili della sua stessa specie. Struggente e un po’ malinconico come un paesaggio invernale. Kosinsky fu già autore dello splendido Oltre il giardino, un’altra storia di emarginazione e di satira sul potere nefasto dei mass media. Lo segnalo qui anche come autore da riscoprire.
3. Il Giovane Holden di J.D. Salinger. Rimando alla recensione su questo blog (qui). Inquietante racconto apparentemente banale il cui protagonista è l’io narrante di un adolescente agito da livore represso. Romanzo ricco di implicazioni psicologiche.
4. L’idiota di Fiodor Dostejevskji: il protagonista è un principe decaduto in povertà. Si tratta di un uomo adulto, ma con l’animo di un bambino. La sua totale ingenuità quasi infantile lo rende drammaticamente inadeguato ad affrontare il mondo. Il nobiluomo è stato educato a una tavola di valori arcaici già in crisi nella Russia pre rivoluzionaria: la lealtà, la correttezza e la disponbilità verso tutti lo rendono esposto alle brutture di una società predatoria e cinica.
5. E infine questo PIc di Jack Kerouac.
Pic, L’ultimo romanzo di Kerouac, è stato cominciato contestualm ente a Sulla strada (scritto nel 1951), ma poi accantonato e concluso a molti anni di distanza. Il libro contiene due temi classici della narrativa di Kerouac ossia la figura tutta americana del tramp ossia del vagabondo un po’ romantico che percorre un viaggio reale e simbolico con sfumature iniziatice e il fascino che esercita la grande città, in questo caso New York, con le sue luci, i suoi colori, la sua varietà effervescente di vita come fosse una specie di luogo magico in cui tutto è possibile. Quest’ultima visione è tipicamente kerouacchiana specialmente considerando che della stessa città che a lui appare così affascinante ad altri scrittori, come James Leo Herlihy autore de Un uomo da marciapiede (qui), si manifesta invece come luogo di abbandono e derelizione. Tuttavia, come vedremo, a uno sguardo pià attento tale visione naif della realtà urbana in Kerouac si rivela meno ottimistica di quanto sembri a una lettura superficiale.
Ma, almeno agli esordi, la scoperta della metropoli da parte di Pictorial Review Jackson detto Pic un bimbo afroamericano nato e cresciuto in un paese della North Carolina nella provincia americana profonda non può che apparire come qualcosa di simile a un paese dei balocchi. E’ la scoperta di un mondo di luci, suoni, colori che si sovrappone come una seconda natura alla natura stessa del creato: mai come in questo romanzo emerge l’anti-intellettualismo di Kerouac e il suo anti-oggettivismo in controtendenza con la cultura beat del suo tempo che già cominciava a prefigurare il panismo naturalistico e paganeggiante della cultura hippie e le intellettualizzazioni analitiche del Sessantotto. Le descrizioni che Kerouac dipinge sono sempre in presa diretta e quasi mai filtrate da categorie politiche e ideologche e quindi idealmente adatte a essere raccontate dallo sguardo semplice e spontaneo di un bambino. Per molti versi questa semplice spontaneità ingenuamente curiosa che si esprime prevalentemente durante la tappe di un viaggio improvvisato, riallaccia Kerouac alla storiografia antica di un Erodoto o di un Senofonte ( l’avventuroso viaggio dei soldati in Anabasi) dove gli eroi protagonisti prima di giungere alla meta devono districarsi in una serie di avventure itineranti: da qui il primitivismo naif della narrativa di Kerouac che ne ha fatto uno dei campioni dell’ easy reading a livello internazionale.
Va da se che per molti versi Kerouac anche dal punto di vista letterario è un autore conservatore: le sue scelte narrative si inseriscono nel solco di una lunga tradizione. Il personaggio del vagabondo, come già detto, rivisita una volta di più la classica figura tipicamente americana del tramp reietto e derelitto, così come l’idea di rappresentare protagonisti che appartengono all’America marginalizzata delle minoranze etniche, alle classi socialmente subalterne o ai fragili di ogni tipo è anch’essa presente in larga misura nel romanzo americano: basta pensare, ad esempio, a capolavori come Bartleby lo scrivano di Melville o Qualcuno volò sul nido del cuculo di Ken Kesey. In questo dunque nella narrativa di Kerouac non c’è nulla di particolarmente originale: il tratto caratteristico semmai, come anche in questo Pic, va ricercato nell’uso del linguaggio che spesso si configura come poesia in prosa o prosa poetica e nel fascino della scoperta avventurosa non più nei tradizionali territori esotici o sconosciuti tipici della letteratura antica o per ragazzi, ma in una più prosaica metropoli dove agli occhi di un bimbo che ha sempre vissuto in realtà fuori dalla storia, tutto appare così meraviglioso da diventare condizione preliminare per ricreare un mondo.
C’è spesso la tendenza nel considerare le opere di Kerouac e a volerle valutare in base alla loro affinità con il libro maggiore Sulla strada che deriva secondo me da una sopravvalutazione di quest’opera e a una sua mitizzazione operata dai media dell’epoca per farne artificiosamente un manifesto della nuova cultura antagonista che andava allora formandosi. Per larghi tratti Sulla strada, nonostante le ampie parti stralciate dall’originale e mitico “Rotolo del ’51” a causa delle ridondanze eccessive della prima stesura, è un libro discretamente noioso in alcune sue parti. Infatti molte ridondanze restano anche nell’edizione defintiva pubblicata da Viking Press nel 1957 con alcune parti eccessivamente elaborate, circonvoluzioni sentimentali al limite della svenevolezza e un certo misticismo a mezzo fra il cristianesimo e le filosofie orientali abbastanza stucchevoli. In questo Pic invece la materia del viaggio on the road è più concentrata e meno dispersiva per cui la lettura procede fluida per quasi tutto il romanzo. Soprattutto l’idea di adottare il punto di vista dell’io narrante di un bimbo depura il libro da alcune sovrastrutture enfatiche (e gratuite) che riguardano l’abbandono a stravizi alcolici o sessuali tipici di molti beatnik forse anche in parte inventati con l’obiettivo di alimentare l’interesse del pubblico scandalizzandolo. Sappiamo infatti quanto il gusto del proibito costituisca un’attrazione quasi irresistibile.
Pic, come in molta narrativa kerouacchiana, contiene delle allusioni metafisiche a cominciare dai frequenti richiami religiosi incarnati soprattutto dalla zia che ha allevato il bimbo dopo la morte della madre e la fuga del padre e dalla presenza di un sacerdote irlandese che aiuta i due fratelli Pic e Slim durante la loro peregrinazione itinerante. Ma la dimensione metafisica a livello simbolico riguarda soprattutto il tragitto coast to coast da New York alla California: New York dopo il primo entusiasmo dovuto all’impressione della novità è percepita dal piccolo Pic con tratti se non infernali almeno purgatoriali. La megalopoli è descritta come fredda e piovosa, un luogo in cui anche i rapporti umani sono difficili specialmente in ambito lavorativo. Indicativo della spietatezza che regolano le relazioni umane è il lungo episodio ambientato in una sala dove Slim, il fratello adulto di Pic, si esibisce come trombettista jazz: nonostante una performance musicale molto intensa e apprezzata dal pubblico, Slim viene sostanzialmente licenziato perchè i suoi abiti sono troppo cenciosi e raffazzonati e dunque non in linea col tono snob del locale. Di contro la California, ossia la meta finale del viaggio di Pic e Slim, appare come un luogo mitico, una specie di eden sempre caldo e accogliente, una sorta di terra promessa dove in armonia col la dolcezza del clima, sarà più facile ricostruirsi una vita.
Molto consigliato per chi vuole avvocinarsi a Kerouac tramite un romanzo breve che condensa in poche pagine tutti i temi principali cari all’autore.
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